Una parte sempre più importante della vita dei giovani e giovanissimi si svolge ormai in rete. Parole come Candy Crash, Farmville, Facebook, selfie e like rischiano di soppiantare le ormai vintage nascondino, acchiapparella e un due tre stella. I filtri Instagram, i retweet e l’esibizionismo di Periscope ci distraggono abitualmente dai pomeriggi trascorsi su un muretto e dalle escursioni in bici, finendo per ostacolare il nostro contatto diretto con la natura o l’esperienza fisica di un ginocchio sbucciato, che ci fa provare dolore ma ci dà anche un forte senso di vitalità. Di fronte a un simile cambiamento di abitudini, fortunatamente né irreversibile né radicale, non sono stati soltanto gli scambi di pareri, gli apprezzamenti o lo stringere rapporti di amicizia a diventare atti digitali, ma anche, più in generale, tutta la gamma di interazioni che il contatto tra più persone, o tra più gruppi di persone, va inevitabilmente a generare; nel bene e nel male.

Da questo punto di vista, un fenomeno relativamente recente ma che, a causa della sua preoccupante crescita e delle ripercussioni sulla vita dei giovani, ha reclamato attenzioni e provvedimenti dall’alto è quello del cyberbullismo, ovvero il bullismo divenuto social, che si va quindi ad affiancare a quello che si consuma al campetto di calcio, a scuola o durante le passeggiate pomeridiane con gli amici. Cyberbullismo è un termine che ingloba tutte quelle forme di violenza o molestie che si consumano tramite strumenti telematici. Non direttamente, quindi, ma attraverso uno schermo, e non per questo meno impattanti sulla psiche degli individui.
Questi atti di violenza telematica hanno naturalmente trovato terreno fertile in tutti quegli spazi in cui l’intera esperienza sociale viene portata nella dimensione digitale (Facebook e Twitter su tutti), con la sola differenza che, complice uno schermo a nascondere e una tastiera a fare da tramite, molti freni dettati dalla morale delle interazioni reali vengono meno e l’ostilità altrimenti repressa trova libero sfogo. Ecco quindi che le stime salgono e sempre più giovani e giovanissimi denunciano a parenti, amici e insegnanti di essere vittima di atti di cyberbullismo. Ma per tanti che lo denunciano, altrettanti non trovano il coraggio di compiere il passo e si ritrovano relegati in una situazione che, perpetuata nel tempo, può portarli a sviluppare forme di depressione.
Facebook e Twitter non sono gli unici strumenti attraverso i quali si consuma il cyberbullismo. Oltre a questi, andrebbero anche ricordati gli sms e i messaggi whatsapp, i forum, i blog e le email, strumenti purtroppo perfetti per ospitare insulti, messaggi violenti, messaggi volti a diffondere informazioni false e danneggiare la reputazione del soggetto e persino furti d’identità.
La University of Alberta, di fronte ai dati preoccupanti e ad alcuni a dir poco amari casi di giovanissimi condotti al suicidio da queste pratiche, ha condotto degli studi sull’argomento cyberbullismo. Dalle ricerche è emersa la possibilità dell’esistenza di una correlazione tra il cyberbullismo e problemi psicologici come ansia e depressione. I dati raccolti non sembrano tuttavia ancora sufficienti a capire la natura di questo nesso, ovvero se sia davvero il cyberbullismo a generare depressione o se siano piuttosto i soggetti più solitari e introversi a configurarsi come vittime ideali di questo tipo di attacchi. Certamente, i dati hanno reclamato attenzione e provvedimenti da parte delle istituzioni e nei mesi recenti si sono registrati alcuni passi in avanti: oltre a giornate dedicate e convegni di respiro internazionale, molti paesi tra cui Italia, Francia, Spagna, Germania, Belgio, Svezia, Islanda e altri hanno lanciato un’applicazione per smartphone e tablet volta a prevenire, denunciare e contrastare il cyberbullismo.
SocialMeter Analysis ha analizzato il parlato di Twitter sull’argomento e nell’arco di circa un mese sono stati registrati 11.284 utenti coinvolti e 15.242 tweet con gli hashtag #cyberbullismo, #cyberbully e #bullismo.