I nativi digitali sono certamente facilitati rispetto alle generazioni precedenti. Può questa loro sicurezza costituire il primo dei pericoli?

Appartengono alla categoria dei nativi digitali, per convenzione, tutti coloro che sono nati dall’anno 2000 in poi, in uno stato di connessione perenne, immersi in una culturale legata indissolubilmente a internet e alle sue evoluzioni.

Psichiatri, psicologi e studi di settore mettono in evidenza il fatto che i nativi digitali sono mentalmente più evoluti rispetto ai loro predecessori. Si tratta di un adeguamento naturale all’era digitale: un’epoca che ha stravolto le nostre vite, anche se fatichiamo a rendercene conto. Un bambino cresciuto negli anni Duemila sviluppa una rapidità mentale fuori dal comune se comparata a quella della generazione precedente. Al pari della scoperta della scrittura, l’era digitale ha sconvolto le nostre vite e di conseguenza il nostro rapporto con la realtà. I nativi digitali evidenziano una forma di simbiosi con i mezzi tecnologici a loro disposizione sin dalla più tenera età, imparando ad utilizzare un tablet ancora prima di saper scrivere. La mente 2.0, se così vogliamo chiamarla, dimostra una spiccata percettività, una forma di approccio liquido ai contenuti, che le permette di muoversi agilmente tra i concetti. Di conseguenza anche l’apprendimento cambia: l’immaginazione comincia a scemare lasciando il posto all’interconnettività. Se la fantasia giocava un ruolo fondamentale nella crescita mentale delle generazioni precedenti, ora dobbiamo essere consapevoli del fatto che l’immediatezza dei contenuti, che il dispositivo tecnologico garantisce, potrebbe da un lato legittimare la noia e la pigrizia verso tutto ciò che è offline, dall’altro stimolare l’apprendimento stesso, spingendo i giovani a trovare le risposte ai loro stessi quesiti.

Da questo passaggio se ne spalanca un altro di immediato interesse: il rapporto dei giovani con i social media. L’era digitale sta sconvolgendo la comunicazione tradizionale sostituendola con nuove forme relazionali che tutti individuano essere i social media. Il mezzo social, a seconda degli obiettivi, è nato per ovviare alla freddezza del web e per facilitare gli scambi umani. La scarsa consapevolezza del peso che il proprio profilo social, qualunque esso sia, può avere sulla rete, porta molti giovani a un utilizzo solamente ludico e spensierato. Quello che scriviamo, quello che postiamo, non scomparirà mai del tutto dalla rete. Rendersi conto di questo è il primo passo verso una consapevolezza della propria alterità virtuale. Dato che è impossibile arrestare il processo di “virtualizzazione” che l’era digitale sta portando inesorabilmente avanti, almeno cerchiamo di mantenere alto il livello di guardia verso quei canali, i social media, che spesso fanno del tratto leggero e divertente la loro caratteristica principale, abbassando la nostra attenzione in termini di privacy e reputazione.